martedì 21 febbraio 2012

BRIANZA E I SUOI PARCHI

I parchi in Brianza: un patrimonio da difendere.
I confini della Brianza sono notoriamente incerti a causa della mai definita perimetrazione del territorio con la conseguente indeterminatezza del concetto stesso di località a sé stante. Se si prendesse in considerazione la tradizione che colloca la Brianza tra i fiumi Severo ad Ovest e Adda ad Est, il territorio sarebbe attualmente diviso fra le tre Province di Milano, Lecco e Como, così che la “dotazione” di aree protette, pur non essendo che un pallido ricordo di quanto doveva essere “verde” la Brianza ancora ai tempi del Manzoni, potrebbe essere considerata buona.Se però si considera la Provincia di Monza e Brianza, escludendo il “polmone verde” del Parco di Monza, le altre aree protette sono collocate un po’ai margini, giacché la nuova Provincia si estende in una zona che può essere considerata quella a più alta densità abitativa in tutta Italia, ovviamente escludendo le città: i tre assi stradali Nord-Sud della Comasina, della Valassina e della Monza-Carate si presentano senza soluzione di continuità e come un autentico serpentone di fabbricati d’ogni genere.Senza pretendere di descrivere la storia del paesaggio agrario italiano, si può affermare che mentre alcuni secoli or sono le città ed i villaggi erano immersi in un mare di boschi e campagne, ora le aree verdi sono, in pratica, “assediate” dalle costruzioni umane: e questo è chiaramente il primo problema che un’amministrazione che avesse a cuore la difesa del verde, dovrebbe affrontare. Queste oasi nel deserto di cemento o d’abbandono, come troppo spesso succede, sono divenute preziosissime proprio perché limitate e vanno difese con cura in quanto gli attacchi distruttivi sono continui e, molto spesso, devastanti.La conservazione del territorio, o meglio di quella parte di esso ancora abbastanza integra, rappresenta ormai una necessità, stante le profonde modificazioni ed alterazioni cui l’ambiente naturale è stato sottoposto e le continue aggressioni che reiteratamente sono perpetrate contro gli ultimi angoli “verdi”.Allo scopo di preservare quello che rimane dell’ambiente naturale, negli ultimi anni si è assistito ad un proliferare di parchi e riserve, spesso istituiti e gestiti senza il supporto di un valido approccio tecnico-scientifico, ma comunque meritori dal punto di vista della difesa di una migliore qualità della vita. È oramai invalso, infatti, il concetto che l’agglomerato urbano, da solo, non sia più in grado di soddisfare l’esigenza spirituale dell’essere umano e che il contatto con la natura debba essere parte integrante della vita di ognuno.Questa esigenza di natura ha però i suoi risvolti negativi. La pressione esercitata da un gran numero di persone su territorio piccoli, relativamente alla densità abitativa, crea gravi problemi di tutela: la maggior parte delle persone pensa, infatti, al “parco “ naturale con lo stesso concetto del “luna-park”, non essendo minimamente a conoscenza dei delicati equilibri che regolano la vita del bosco. Lo svago, non di rado, sconfina nel vandalismo. L’accensione di fuochi, l’abbandono di rifiuti, il taglio di rami o piante per “puro divertimento” o le discariche abusive hanno effetti gravi sull’ecosistema e, se continuati, portano ad un degrado difficilmente rimediabile. Se a ciò si aggiunge lo scarso interesse che molte amministrazioni locali dimostrano per il verde, il quadro non è certo consolante.È un problema culturale quello che svantaggia maggiormente il nostro patrimonio verde: non è ancora nel “sentire comune” quel messaggio di civiltà tramandata che rappresentano le aree verdi. Testimoni delle vicende avite del territorio dovrebbero essere considerate alla pari di monumenti e musei: sono il nostro passato. Nel paesaggio agrario come nella foresta si tramanda non solo il conoscere, il saper fare ma anche, forse ancor più importante, il saper essere. Saper essere uomini attaccati alle proprie radici storiche, sociali e culturali, abitanti di un preciso territorio con le sue ricchezze, con le sue peculiarità; in Brianza come nell’Italia intera.Un altro importantissimo aspetto da tenere in considerazione nella preservazione di quel patrimonio ecologico e culturale di cui si è appena parlato, è la composizione ecologica delle aree protette. Come già ricordato, le nostre zone hanno, nel corso dei secoli, subito una pressione antropica che ne ha modificato ampiamente l’aspetto originario. Cause sociali, morali, tecnologiche, belliche o quant’altro hanno inciso in profondità e con assoluta continuità sul territorio, per cui ci troviamo a costatare più l’opera dell’uomo che non quella della natura. Boschi che avevano subito un pressoché totale taglio alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, già comunque pesantemente alterati nella loro composizione floristica dall’invasione delle specie esotiche, quali la robinia prima e il prugnolo tardivo poi (forse introdotto per favorire l’attività venatoria nell’area di brughiera e rivelatosi una delle specie più invasive); boschi impoveriti nella loro varietà floreale e nella loro popolazione faunistica da secoli di uso dei fuochi radenti e dall’abbattimento persecutorio delle specie animali ritenute non interessanti venatoriamente o addirittura ritenute “nocive”, tagli e dissodamenti, effettuati spesso a macchia di leopardo all’interno della foresta sui suoli migliori per far posto a pioppeti industriali e a nuovi coltivi e, per finire, nuove strade, cave e nuovi insediamenti abitativi, più o meno abusivi, non possono certo essere definiti come il risultato dell’evoluzione naturale.Molti considerano bosco o foresta anche le pinete artificiali (utilissime magari per rivestire pendici brulle e preparare il ritorno alla vegetazione indigena) o una distesa di faggi tutti uguali, tutti coetanei, tutti dritti, su un tappeto di foglie secche o un’abetina oscura e priva di sottobosco o, addirittura, le pioppete coltivate. Invece il vero valore della foresta sta nella sua varietà, nella sua biodiversità, nel suo assortimento di essenze partendo da quella vita che noi, a torto, consideriamo minima, fatta di muschi e felci, funghi ed erbe, cespugli ed arbusti, alberelli e patriarchi magari marcescenti, magari contorti e pieni di buchi ma ricchi, ricchissimi di vita. Da qui la grande importanza delle aree protette che sono un fondamentale strumento per le azioni a difesa della biodiversità, parola tanto di moda quanto, forse, poco conosciuta nella sua essenza; di grande importanza è la previsione, nelle politiche di pianificazione e gestione delle aree protette, di quei principi scientifici, ecologici e biologici, decisivi per garantire la più efficace azione a tutela della natura. Da qui anche la necessità di ricostruire, il più possibile, quello che doveva essere l’originario manto forestale.La foresta planiziale non era una presenza immobile, ma il risultato di millenni di trasformazioni dettate dalla natura stessa: il risultato della vita sulla terra, sulla nostra terra.E infine, ultimo ma non certo per importanza, il problema della dotazione finanziaria è quello che condiziona maggiormente la sopravvivenza dei polmoni verdi. Il parco in se stesso non offre possibilità di speculazione, l’ecologia non è mai la prima attenzione di qualsiasi amministrazione. Non di rado il verde pubblico è visto con fastidio, come un fardello che ci si trascina da un’amministrazione all’altra senza interesse né tantomeno slancio creativo.Per fare un esempio, al Parco della Brughiera Briantea, la Provincia di Milano ha tagliato i finanziamenti in modo drammatico: forse perché dal 2009 non sarà più di sua competenza. Fatto sta che occorre chiedere un aumento dei finanziamenti ai Comuni partecipanti che già sono costretti a risparmi notevoli dalle ultime finanziarie; la situazione non è certo delle più rosee.Si deve ricorrere al finanziamento di Enti privati, come le Fondazioni, che dànno sicuramente una grossa mano, ma che non possono garantire una continuità che è invece la necessità stessa degli Ente parco, i quali avrebbero bisogno di entrate certe e coerenti coi loro impegni.Si può fare una proposta: che le spese sostenute per le attività nei Parchi e nelle Riserve naturali siano escluse dal tetto di spesa della pubblica amministrazione. Non è un’utopia, ma lungimiranza: occorre cambiare la mentalità che vede nella tutela dell’ambiente solo vincoli e un costo aggiuntivo. Questo non solo non è vero, ma è anche una manifestazione di miopia: equivale a restringere la nostra visuale al tempo immediato ed agli interessi di bottega.L’ambiente è invece un importante investimento per il futuro, è essenziale per la crescita e lo sviluppo del nostro Paese. Basti pensare alle straordinarie opportunità offerte dalla ricerca nei campi delle filiere agrozootecniche, della qualità della vita o nell’uso delle risorse energetiche alternative; e basti pensare al valore economico che possiede il turismo, con tutto l’indotto che ne consegue.E poi fa parte di quel grande patrimonio d’Italia che è il “bello”: il bello delle città d’arte, grandi o piccole che siano, non esisterebbe senza il bello delle montagne, dei laghi, delle coste, dei fiumi, insomma dell’ambiente d’Italia.

Dott Flavio Agostoni